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sabato 7 agosto 2010

Il bambino con il pigiama a righe

Germania anni ‘40.

Bruno (Asa Butterfiled) ha otto anni, anche Shmuel  ( Jack Scanlon ) ne ha otto,ma non vivono la loro infanzia in egual modo. Il primo, figlio di un autoritario ufficiale delle S.S. è costretto a lasciare la cara Berlino ed i suoi amici a causa del trasferimento di suo padre ed è un appassionato di storia di avventure, che da grande vuole fare l’esploratore. Il secondo è costretto a lasciare la sua casa con la forza a causa della sua religione. Nella nuova casa Bruno si annoia, non riesce a farsi nuovi amici perche in realtà non ce ne sono. Nota però, strani movimenti all’interno della villa, ogni tanto una persona con una divisa a strisce entra in cucina ed inizia a pelare le patate, vede fumo nero uscire dalle ciminiere dietro casa e gli è proibito andare sul retro. Perché?
Smhuel nella sua nuova casa invece ha molti bambini intorno a lui, ma non riesce a farci amicizia e preferisce starsene da solo, lo fanno lavorare e portare carriole piene di mattoni. Perché?
Un sentiero lungo il bosco che divide la villa al campo congiungerà i due bambini e finirà per legarli in una profonda amicizia. Innocenza e consapevolezza sono i due temi principali del film: l’innocenza di Bruno e le sue domande rivolte all’amichetto, che non capisce di essere così fortunato a stare in un campo pieno di bambini con cui poter giocare e avere un pigiama così carino a strisce bianche e blu. L’innocenza di Elsa ( una struggente Vera Farmiga) la madre di Bruno, che crede che vada tutto bene e che il lavoro di suo marito sia solo un servire la patria con orgoglio e dignità. Contrapposta è la consapevolezza di Shmuel che nonostante il suo essere solo un bambino, capisce, vede con i suoi occhi le atrocità del campo di concentramento e aspetta tutti i giorni l’arrivo di Bruno per poter parlare con lui e giocare a dama. Il regista Mark Herman dirige questo bellissimo film permettendo al pubblico di guardarlo con gli occhi di due bambini, due punti di vista completamente diversi tra loro che nella loro discordanza porterà le loro vite ad un unico destino. Il bambino con il pigiama a righe è si, una favola su un’amicizia inossidabile, ma non ha un lieto fine proprio come nella Storia non vi è la presenza di un lieto fine vero e proprio. Il legame così speciale e puro che li tiene uniti sarà, seppur triste, il giusto e unico finale degno di questo film.

Bruno
tu sei il mio miglior amico Shmuel...il mio amico per la pelle.

venerdì 6 agosto 2010

Espiazione

Inghilterra 1935, Briony Tallis ( Saoirse Ronan) è una ragazzina che ama scrivere commedie, leggere e vagare nella sua fervida fantasia. Ha una sorella maggiore, Cecilia ( Keira Knigthley) spigliata e un po’ ribelle. Briony da lontano osserva, colpita dalla noia di una vita agiata, il rapporto di insolita amicizia tra Cecilia e Robbie Turner ( James McAvoy), il figlio della governante, equivocando e mutando quel rapporto in qualcosa di scandaloso. Tratto dall’omonimo romanzo di Ian McEwan , il film di Joe Wright viene diviso in tre parti e racconta appunto il pentimento e il sentimento di impotenza di una bambina-annoiata/ragazza- infermiera durante la guerra/donna adulta e scrittrice, nell’intero arco della sua vita fino a quando divenuta un’anziana famosa e rispettata affetta da demenza senile, cercherà di restituire la degna fine di una storia a chi, anni prima, l’aveva ingiustamente tolta senza un attendibile motivo. Troviamo il tema dell'errore e del pentimento e tutto ciò che ne deriva, solitudine frustrazione voglia di ricominciare, per vivere come se nulla fosse capitato, come se quella bambina in realtà non avesse mai visto nulla, ma in realtà le prospettive saranno sempre diverse, chiunque può vedere qualcosa e altri guardando la stessa cosa potranno interpretare nuovi e più intensi significati.
In fondo cos’è un dubbio e come si insinua nella nostra mente? Attraverso il sospetto.. e cos’è il sospetto se non il risultato delle varie macchinazioni del pensiero? Vedere. Interpretare. Riflettere. Dimostrare. Nonostante non si abbia la certezza di ciò che i propri occhi vedono e di ciò che automaticamente il proprio cervello induce a pensare.


Robbie Turner

Quanti anni bisogna avere per capire la differenza tra giusto e sbagliato?

lunedì 2 agosto 2010

La vie en Rose - La Môme

Andamento ricurvo e goffo, capelli radi, corpicino gracile e una voce potente e magnifica. E' questa la descrizione della celebre icona della canzone francese Edith Piaf raccontata in una pellicola di Olivier Dahan del 2007 presentato al Festival di Berlino. Fin dalla sua tragica infanzia Édith Giovanna Gassion, interpretata da una versatilissima Marion Cotillard, vincitrice dell'oscar come miglior attrice protagonista e anche un Golden Globe, La Môme cresce in totale povertà, trascurata dalla madre una mediocre cantante di strada ( interpretata da Clotilde Courau) e dal padre circense. Nei sobborghi più sudici di una Parigi del 1918 verrà affidata alla nonna,  proprietaria di un bordello conquistandosi l'affetto delle ragazze. Fino ad arrivare al successo avuto grazie a Louis Leplée ( Gérard Depardieu) un impresario che la scorgerà all'angolo di una strada durante una sua esibizione. Sarà proprio lui a darle il nome d'arte "La Môme Piaf". Dahan sceglie di non dare un ordine cronologico a questa geniale cinebiografia, instaurando un gioco di richiami e di correlazioni donando al film un effetto narrativo eccellente. Una vita travagliata la sua, a causa del suo fisico malato e dall'abuso di droghe ed alcool. Troviamo nel film, girato in parte in Francia e in parte a Praga, una somiglianza quasi incredibile della Cotillard con la vera Edith Piaf nelle performance di "Milord" "Padam... Padam" e "Hymne à l'amour", gestualità e pose impacciate come se in realtà si sentisse sempre fuori luogo e nel posto sbagliato tranne che in una scena, l'ultima, sul palcoscenico dell'Olympia mentre canta il suo ultimo straziante inno alla vita " Non, Je ne regrette rien" ritrovando per qualche minuto la forza di cantare ancora una volta e la voglia di vivere, seppur malamente, senza nessun rimpianto.




Marion Cotillard

Giornalista: Lei è una grande artista.
Edith Piaf: È perché ho messo i tacchi...



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